lunes, 9 de abril de 2012

Come la Riforma protestante ha segnato le società occidentali - La frammentazione nasce da quelle tesi del 1517

Come la Riforma protestante ha segnato le società occidentali 

La frammentazione nasce
da quelle tesi del 1517






di GIULIA GALEOTTI

Il posto della Riforma protestante nella storia europea sembrerebbe chiaro. Collocata saldamente più di cinque secoli fa, risulterebbe ormai un evento distante dalla dinamica politica, dal sistema economico di capitalismo globale, dai dibattiti morali e dai problemi sociali che attraversano oggi il mondo. Eppure uno storico dell'università americana di Notre Dame (Indiana) è convinto del contrario. Nel suo The Unintended Reformation. How a Religious Revolution Secularized Society (Cambridge Massachusetts, The Belknap Press of Harvard University Press, 2012, dollari 39.95, pagine 552), Brad S. Gregory tenta di dimostrare l'esatto contrario, e cioè come - essendo penetrata profondamente nei secoli - la Riforma continui a segnare il nostro presente.
Da cosa nasce l'attuale pluralismo esasperato  (e a volte un po' esaltato) delle fedi religiose e civili? A cosa si deve il fatto che oggi manchi una sostanziale idea condivisa di bene comune o che le nostre società siano così frantumate da ritenere che la verità sia una questione relativa e opinabile? Da dove discende il trionfo odierno del capitalismo (e lo strapotere del suo motore, cioè il consumismo) o la certezza ideologica che solo le scuole e le università non confessionali siano in grado di insegnare? Secondo Gregory, l'hyperpluralism che ci caratterizza ormai in ogni ambito è l'effetto di lungo periodo di quel terremoto strutturale che ha segnato la fine del primo (abbondante) millennio della storia umana, facendo crollare l'ossatura della vita intellettuale, morale e sociale dell'Occidente, sino ad allora operante.
Contestando dunque gli storici che ritengono che la pluralità sia il risultato dell'Illuminismo, lo studioso americano si spinge molto indietro. In una dettagliata ricerca che si occupa tanto del presente quanto del passato, Gregory parte con l'analizzare Duns Scoto giungendo a Benedetto XVI. Non che i protagonisti della Riforma protestante volessero scientemente frantumare la Cristianità occidentale (con la sua visione istituzionalizzata del mondo e carica di aspettative sulla sicurezza delle società terrene e di speranza per la salvezza eterna dei singoli). Ciò che Lutero e Calvino provarono a fare, infatti, fu tentare di migliorare la realizzazione delle aspettative di quel mondo, non di distruggerlo. Ma questo è ciò che si è verificato: la complessa e intricata matassa risultante dalla trasformazione (e in parte dal rifiuto) delle tradizioni della Cristianità medievale ha gradualmente rimpiazzato quel tessuto religioso univoco che fino ad allora aveva accomunato le società occidentali. E il paradosso è stato che proprio l'idea di libertà religiosa diffusasi allora, ha finito col diffondere una nozione di religione soggettiva e arbitraria, nozione universalmente condivisa. Né manca un paradosso ulteriore: è stata proprio l'enormità della frattura che si è compiuta nel passaggio dalla pre-modernità alla modernità ciò che ha permesso di celare l'influenza continua di questo passato nel nostro presente.
Nell'identificare quelle che definisce "le conseguenze non comprese della Riforma protestante", Brad S. Gregory è tremendamente cupo. Il Cristianesimo medievale ha fallito, la Riforma ha fallito, la modernità occidentale continua ancora a fallire. Tra le altre cose, lo studioso si rivela decisamente preoccupato per il pericoloso relativismo morale che ha rimpiazzato la virtù della carità, il cui risultato è - giusto per inciso - una politica senza etica. Se tale esito è oggi ampiamente colto e commentato, il contributo del presente volume è quello di collegare in modo lineare il quadro odierno con la celebre affissione del 31 ottobre 1517. E solo partendo dall'impropria trasformazione del portale della cattedrale di Wittenberg, possiamo capire come la libertà religiosa si sia progressivamente trasformata nella libertà dalla religione, permettendo la crescita esplosiva di una società irrimediabilmente frammentata. L'eredità che oggi raccogliamo dalla Riforma protestante sarebbe dunque la realtà frammentata di oggi: i disaccordi intellettuali frantumati in minuti discorsi specializzati; l'idea che la scienza moderna - fonte di ogni verità - necessariamente mini il credo religioso; il ricorso pervasivo a una visione terapeutica della religione; un set di valori morali di contrabbando con i quali cerchiamo di fertilizzare un liberalismo sterile; e la certezza ormai istituzionalizzata per cui solo le università secolari sarebbero in grado di fornire il sapere.
Questo delirio di frammentazione ha travolto anche la ricerca storica. È un altro punto su cui Gregory torna continuamente nel suo volume, criticando un certo modo di fare storia. Gli storici tentano in tutti i modi di condizionare i giovani imponendo loro rigide categorie (inherited cells of periodization), riducendo così il passato a una serie consequenziale di blocchi epocali. Si tratta però di partizioni e periodizzazioni che - sempre secondo lo storico statunitense - impediscono una reale comprensione di ciò che è stato, e delle avvincenti articolazioni che invece si dipanano nel tempo. La ghettizzazione del materiale studiato ha finito per imbrigliare anche quanti di quel materiale si occupano. Tantissimi storici infatti - al pari di colleghi di tante altre discipline - tendono alla specializzazione esasperata, alla frammentazione e alla esiguità del campo, finendo per perdere the big picture nelle loro discipline.
E se davvero è solo questo ad accomunare ancora la modernità al suo interno, beh, in effetti è davvero pochino.


(©L'Osservatore Romano 13-14 febbraio 2012)


Traducción de la Google:



Como la Reforma Protestante ha marcado las sociedades occidentales

La fragmentación ha nacido
las tesis de 1517


GIULIA GALEOTTI

El lugar de la Reforma protestante en la historia europea parece claro. Firmemente colocado más de cinco siglos atrás, ahora sería un evento muy lejos de la dinámica política, el sistema económico del capitalismo mundial, los debates morales y los problemas sociales de todo el mundo de hoy. Sin embargo, un historiador de la American College of Notre Dame (Indiana) está convencido de lo contrario. En su libro La Reforma no deseado. Cómo Religiosa Sociedad de la Revolución secularizada (Cambridge, Massachusetts, la prensa de Belknap, de Harvard University Press, 2012, US $ 39,95, en la página 552), Brad S. Gregorio trata de demostrar exactamente lo contrario, es decir, como - se adentraron en los siglos - de la Reforma continúan dando forma a nuestro presente.
Lo que hace que el pluralismo actual exasperado (ya veces un poco de excitación) de las creencias religiosas y civiles? Lo que hay que olvidar el hecho de que hoy en día una visión compartida de la importante bien común o que nuestras sociedades están tan aplastados por la creencia de que la verdad es relativa y discutible asunto? De donde se deduce el triunfo del capitalismo de hoy (y el poder abrumador de su motor, es decir, el consumismo) o certeza ideológica que sólo escuelas no confesionales y las universidades son capaces de enseñar? Según Gregorio, el hiper pluralismo que nos caracteriza hoy en día en todas las áreas es el efecto a largo plazo de ese terremoto estructural que marcó el final de la primera (pesado) del milenio de historia de la humanidad, trayendo abajo la columna vertebral de la propiedad intelectual, moral y social occidental, hasta entonces en funcionamiento.
Por lo tanto un desafío a los historiadores que creen que la pluralidad es el resultado de la Ilustración, el estudioso norteamericano va tan lejos. En una investigación detallada que se ocupa de gran parte de esto en el pasado, Gregorio comienza con el análisis de Duns Escoto llegar a Benedicto XVI. No es que los protagonistas querían romper con conocimiento de la Reforma protestante del cristianismo occidental (con su visión institucional del mundo y lleno de expectativas sobre la seguridad de la sociedad terrena y la esperanza de la salvación eterna de la persona). Lo que Lutero y Calvino trató de hacer, de hecho, fue a tientas para mejorar la entrega de las expectativas de ese mundo, no destruirlo. Pero esto es lo que ocurrió: la maraña compleja e intrincada que resulta de la conversión (y en parte por la negativa) de las tradiciones de la cristiandad medieval había reemplazado poco a poco el tejido religioso único que hasta entonces se había unido a las sociedades occidentales. Y la paradoja es que la idea misma de propagación la libertad religiosa y, a continuación, ha llegado a difundir una noción subjetiva y arbitraria de la religión, un concepto universalmente compartida. Tampoco carece de una paradoja más: fue precisamente la magnitud de la fractura que se llevó a cabo en la transición de la pre modernidad a la modernidad que ha permitido ocultar la continua influencia de ese pasado en nuestro presente.
En la identificación de lo que él llama "las consecuencias de no incluir la Reforma Protestante", Brad S. Gregorio es terriblemente aburrido. El cristianismo medieval ha fallado, la reforma ha fracasado, la modernidad occidental sigue fallando. Entre otras cosas, el estudioso revela muy preocupado por el relativismo moral peligrosa que ha reemplazado a la virtud de la caridad, el resultado es - sólo por la forma - una política sin ética. Si la evaluación es ampliamente leído y comentado sobre la contribución de este volumen se va a conectar de forma lineal en el entorno actual, con el famoso cartel de 31 de octubre 1517. Y sólo a partir de la transformación ineptos del portal de la catedral de Wittenberg, podemos entender cómo la libertad religiosa se ha transformado paulatinamente en la libertad de la religión, lo que permite el crecimiento explosivo de una sociedad irremediablemente fragmentado. El legado que hoy en día la Reforma Protestante entonces recoger la realidad fragmentada de hoy: los desacuerdos intelectuales se rompió en minutos discursos especializados, la idea de que la ciencia moderna - la fuente de toda verdad - necesariamente debilitar las creencias religiosas y la utilización generalizada de un conceptos terapéuticos de la religión, un conjunto de valores morales de contrabando con las que tratamos de fertilizar un liberalismo estéril, y la certeza de que sólo se convierten en universidades seculares institucionalizados sería capaz de proporcionar los conocimientos.
Este delirio de la fragmentación también ha abrumado la investigación histórica. Es otro punto en el que Gregorio vuelve una y otra vez en su libro, criticando una cierta manera de hacer historia. Los historiadores tratan por todos los medios para influir en los jóvenes mediante la imposición de sus categorías rígidas (Se hereda de periodización de las células), lo que reduce el pasado a una serie de bloques secuenciales epocales. Sin embargo, estas particiones y periodización que - de acuerdo con el historiador estadounidense - impiden una comprensión real de lo que era, y que en lugar de las articulaciones de peso se desarrollan con el tiempo. La creación de guetos del material estudiado ha llegado a controlar a los que también se ocupan de ese material. Muchos de hechos históricos - como tantos colegas de otras disciplinas - tienden a la especialización exagerada, la fragmentación y el pequeño tamaño del campo y acabó perdiendo la visión global en sus disciplinas.
Y si esto en realidad es sólo para unir la modernidad todavía en el interior, bueno, en realidad es muy poco.



(© L'Osservatore Romano, 13 hasta 14 febrero, 2012)

El nazi perfecto

El nazi perfecto

Martin Davidson

Trad. de Jaime Zulaika. Anagrama, 2012. 405 pp. 22.90 e. Ebook: 17,99 euros

EL MUNDO  - JUAN AVILÉS | Publicado el 06/04/2012

Foto de familia del soldado Bruno Langhben, el 'nazi perfecto'.

La búsqueda de la verdad acerca de su abuelo ha llevado a Davidson a escribir un libro excelente, que no es tanto una biografía de Bruno Langhben como un retrato de un grupo de aquellos alemanes nacidos a comienzos del pasado siglo que se aprestaron a restaurar a golpes el orden y la grandeza de la patria.


En 1958 una joven alemana llegó a Edimburgo, en parte para aprender inglés y en parte para huir de un padre autoritario, y allí se enamoró de un escocés y se casó. Nunca perdió sin embargo el contacto con su país y en vacaciones visitaba con sus hijos el Berlín occidental aislado por el muro donde seguía residiendo su padre, Bruno Langhben. Era éste un próspero dentista a quien su nieto Martin recuerda como un hombre seguro de sí mismo, dispuesto a dar su opinión sobre cualquier tema de actualidad, pero acerca de cuyo pasado ni él ni nadie de la familia hablaba. Bruno vivió lo suficiente como para ver la caída del muro y tras su muerte su nieto escocés Martin Davidson, que ha dirigido varios programas sobre el nazismo para la BBC, se decidió a esclarecer la inquietante cuestión de su pasado en los siniestros años del nazismo. No encontró muchos documentos, pero sí los suficientes para reconstruir los hitos fundamentales de su existencia, para situarle en un determinado batallón de las SA y en una determinada unidad de las SS. El abuelo había resultado ser un “nazi perfecto”, un hombre que no había sido un dirigente, que no había cometido personalmente, que se sepa, ni crímenes de guerra ni crímenes contra la humanidad, pero había sido uno de esos numerosos cuadros medios sin los cuales habrían sido imposibles el triunfo de Hitler, el establecimiento de su régimen totalitario y su criminal empresa de conquista y exterminio que devastó Europa.

La búsqueda de la verdad acerca de su abuelo ha llevado a Davidson a escribir un libro excelente, que no es tanto una biografía de Bruno Langhben, que apenas se puede escribir por falta de datos y que en definitiva tampoco interesaría demasiado, como un retrato de un grupo, el de aquellos alemanes nacidos a comienzos del pasado siglo, que vivieron como adolescentes entusiastas los triunfos de la I Guerra Mundial, sintieron como una traición la derrota de 1918, vieron en la democracia de Weimar una degeneración y se aprestaron a restaurar a golpes el orden y la grandeza de la patria. Con gran agilidad narrativa, Davidson reconstruye los sucesivos ambientes a través de los cuales el joven dentista prusiano fue ascendiendo en las filas nazis hasta convertirse en el oficial de las SS satisfecho de si mismo y de mirada glacial que aparece en la fotografía de cubierta con su mujer y su hija, la madre de Martin. No hay cartas privadas ni recuerdos de parientes o amigos que atestigüen lo que Bruno sintió o pensó en cada momento, pero cabe deducirlo con facilidad de las opciones que tomó. En definitiva, no era un individuo singular sino un ejemplar característico de su especie, que compartía creencias y conductas con miles de congéneres, pero al haber escogido Davidson la trayectoria de su abuelo como eje conductor de su narración, el lector se siente inmerso en la historia y a veces le parece percibir los acontecimientos como los habría vivido un militante nazi.

Ello no implica el más mínimo intento de justificación, pues el secreto de familia que la investigación de Davidson ha revelado conduce a una de las mayores maldades del pasado siglo, al corazón de las tinieblas. El hecho de que nada indique que Bruno fuera un psicópata sádico resulta incluso más inquietante. Era un hombre autoritario y de mentalidad simple, capaz de asumir una ideología letal que dividía a los seres humanos entre seres superiores y escoria y de hacer carrera al tiempo que luchaba a favor de ese fatídico ideal, pero en definitiva era un tipo más o menos corriente. Tuvo la suerte de que en los últimos días de la guerra un oficial soviético, que ignoraba su pertenencia a las SS, evitara que un partisano checo le disparara en la nuca, como acababa de hacer con otros alemanes. En la posguerra dejó atrás su pasado sin sentimiento de culpa y disfrutó de la prosperidad de la República Federal, feliz con su cerveza, su aguardiente y su cigarrillo, como aparece en una fotografía de los años sesenta. 

Nota del Blog: Aquí se puede ver el triste papel de los tontos útiles. En este caso al servicio del nazismo

domingo, 8 de abril de 2012

Historiadores contra revisionistas

Historiadores contra revisionistas

Una treintena de especialistas en el siglo XX participan en una obra que enmienda el sesgo ideológico del polémico ‘Diccionario Biográfico Español’

Franco pasa revista en Logroño, en 1938, a fuerzas legionarias italianas. / EFE
Presentar En el combate por la historia (Ediciones Pasado y Presente) como un contradiccionario, una réplica corregida de las fallidas reseñas del siglo XX incluidas en el Diccionario Biográfico Español de la Real Academia de la Historia (RAH), es un astuto ardid comercial, pero le hace un flaco favor a la causa que les animó a todos, editor e historiadores, a sumarse al proyecto. Sin quererlo, fomenta esa visión de que la historia española del siglo XX puede ser contada desde dos puntos de vista y que los historiadores están parcelados en los mismos bandos que en la Guerra Civil. Y en verdad los únicos bandos posibles son obvios: historiadores buenos e historiadores malos.
La mayoría de los 33 especialistas reunidos para este proyecto llevan años investigando el siglo XX y gozan de reconocimiento. Hay, además, algunos que participaron en elDiccionario como Fernando Puell o Carlos Barciela. “Yo no estoy ni con unos ni con otros, pero lo que no puedes es justificar el golpe de Estado. Un golpe es un golpe y no el Glorioso Alzamiento, y tampoco puedes llamar solo ‘bando nacional’ a unos porque igual de nacionales eran unos que otros. El problema de aquella obra es que unas cuantas voces han contaminado el resto, es un libro que salió tarado”, sostiene Fernando Puell, profesor de Historia Militar en el Instituto Universitario Gutiérrez Mellado de la UNED y coronel retirado, que aportó 40 biografías a la colección de la RAH y que analiza las operaciones militares durante la Guerra Civil y el papel del Ejército durante el régimen franquista en el libro de Pasado y Presente.
A Carlos Barciela, catedrático de Historia e Instituciones Económicas de la Universidad de Alicante, le disgusta la etiqueta de contradiccionario. “Yo no he hecho contrainvestigación nunca. He hecho investigación y lo que se va a publicar es la labor de muchos años de trabajo”, puntualiza. Aportó al Diccionario unas 200 biografías de ingenieros agrónomos, recopiladas durante ocho años, y dos entradas para En el combate por la historia. En la que dedica a la reforma agraria demuestra que fue un aspecto capital para los sublevados: “Resulta llamativo que desde agosto de 1936 empiezan a promulgar decretos que tienen como finalidad paralizar la reforma agraria de la República y devolver las tierras a sus propietarios”.
El sesgo ideológico y el escaso rigor que impregnaban algunas biografías sobre el siglo XX encargadas por la Real Academia de la Historia indignaron el año pasado a Gonzalo Pontón, histórico editor de Crítica que ahora ha fundado la editorial Pasado y Presente. Le pidió a Ángel Viñas que coordinase una obra que sintetizase con rigor lo ocurrido entre 1931 y 1975, con la actualización de lo investigado en los últimos años, y que ha derivado en un volumen de casi 1.000 páginas. “Aquí hay una escuela historiográfica muy sólida y sensata, y no podíamos permitir que los historiadores españoles fuesen los representados por la RAH”, expone Viñas.
Casi nadie le dijo no. Entre los 33 firmantes figuran algunos de los máximos especialistas en ese periodo: Paul Preston, Julio Aróstegui, Julián Casanova, Enrique Moradiellos, Ricardo Miralles, José-Carlos Mainer, Josep Fontana y Eduardo González Calleja. “Están representadas tres generaciones: una de mayores como Elorza o Fontana; la intermedia con gente como Casanova y la más joven que está haciendo un trabajo muy riguroso como Jorge Marco, Gutmaro Gómez Bravo o José Luis Ledesma”, afirma el coordinador de la obra, que arremete contra el revisionismo —y algunos exponentes del mismo— en un duro epílogo.
El volumen incluye las biografías de 12 protagonistas del periodo (Aguirre, Azaña, Companys, Franco, Pasionaria, Carrillo, Largo Caballero, Mola, Negrín, Prieto, Primo de Rivera, Rojo y Serrano Suñer), además de 41 capítulos sobre las cuestiones más sobresalientes de la Segunda República, la Guerra Civil y el Franquismo (entre otros: anarquistas, reforma agraria, conspiraciones, operaciones militares, nacionalismos periféricos, la violencia, la Iglesia, el exilio, la represión o la política exterior de la dictadura). “Se hace una puesta —o respuesta— al día al Diccionario y a toda una ola de revisionismo que es jaleada por la derecha entusiásticamente defendiendo que la Guerra Civil y la Dictadura fueron meros accidentes y que medio país estaba enfrentado al otro medio. Se ha reunido a la gente seria que ha investigado cada tema”, señala Josep Fontana, catedrático de Historia Económica y autor de una treintena de obras. “Personalmente, cuando se desataron las iras por el Diccionario, tampoco acepté criticar la obra en conjunto. Lo que es imperdonable es que se haya montado sin control y que una parte anule la validez de la obra entera. Yo espero que este libro sea una ayuda para poner las cosas en su sitio”, confía Fontana.

Franco, por Paul Preston...

Decir que Franco fue una figura mediocre no explica cómo llegó al poder absoluto (...) al compararle con Hitler y Mussolini, y tuvo mucho en común con ambos, se tropieza con el hecho de que Franco tenía la afición de jugar a las quinielas y que ganaba de vez en cuando.
La falta de escrúpulos en bombardear pueblos asturianos y el uso de mercenarios marroquíes revelaron que Franco sentía por los obreros de izquierdas el mismo desprecio racista que le habían despetado las tribus del Rif.
Llevó a cabo una guerra de terror, en la que la matanza de tropas contrarias se vería acompañada de una represión despiadada de la población civil. Se propuso realizar una inversión en terror para establecer los cimientos de un régimen duradero.
A partir de 1953, empezó a forjar una nueva imagen: la de padre del pueblo. Fue el momento en que en la práctica se retiró del puesto de Jefe del Ejecutivo (...) se quedó con obligaciones rutinarias que cumplía al estilo de un monarca.

...y por Luis Suárez

Montó un régimen autoritario, pero no totalitario, ya que las fuerzas políticas que le apoyaban, Falange, Tradicionalismo y Derecha, quedaron unificadas en un Movimiento y sometidas al Estado.
Al producirse la revolución de octubre de 1934, Franco fue llamado a Madrid como consejero del ministro, colaborando en la extinción de la revuelta sin tomar parte en las operaciones.
Una guerra larga de casi tres años le permitió derrotar a un enemigo que en principio contaba con fuerzas superiores. Para ello, faltando posibles mercados, y contando con la hostilidad de Francia y de Rusia, hubo de establecer estrechos compromisos con Italia y Alemania.
El 22 de noviembre de 1966 Franco presentó ante las Cortes la Ley Orgánica del Estado, que fue aprobada en referéndum por una mayoría muy considerable. El Régimen se daba a sí mismo una Constitución, que Franco consideró como un éxito personal.