miércoles, 8 de abril de 2009

La Chiesa tra le due Spagne

Intervista allo storico Vicente Cárcel Ortí a settant´anni dalla fine della guerra civile

La Chiesa tra le due Spagne

Dalla seconda Repubblica alla dittatura di Franco attraverso le atrocità della persecuzione religiosa
di Maurizio Fontana

Settant'anni. La memoria di un pontificato - quello di Pio XI - si lega anche al ricordo di uno dei passaggi più dolorosi della storia recente: la persecuzione religiosa della seconda Repubblica spagnola, la guerra civile e, meno di due mesi dopo la morte di Achille Ratti, l'inizio della dittatura di Francisco Franco il 1° aprile 1939. Anni dei quali molte persone in Spagna portano ferite non rimarginate e che ancora alimentano interpretazioni poco serene. "Questo anche perché gli storici troppo spesso non sanno fare il loro mestiere e offrono invece il loro contributo a discutibili operazioni ideologiche. Invece di analizzare fatti e documenti si manipolano i fatti a causa dei quarant'anni di regime politico vissuto dalla Spagna fino al 1975". A parlare è Vicente Cárcel Ortí, che da decenni studia sulle fonti d'archivio la storia della Chiesa contemporanea, soprattutto in Spagna. È un discorso che coinvolge e appassiona il sacerdote spagnolo: "Bisogna avere innanzitutto chiaro che il compito dello storico non è giudicare, bensì studiare per comprendere e per aiutare gli altri a capire. Pur cosciente del fatto che l'imparzialità totale non esiste, lo storico deve fare lo sforzo di cercare il massimo dell'obbiettività di fronte a una materia come questa che, dopo settant'anni, suscita ancora tanta polemica".

Cosa si deve fare per comprendere meglio ciò che è accaduto?

La storiografia tradizionale non serve più. I libri di storia sono praticamente tutti scritti da autori di parte: destra o sinistra che sia. Ma così si fa solo ideologia. Io credo, invece, che si debba partire dalle fonti. Oggi questo è possibile. Da poco più di due anni l'apertura dei documenti dell'Archivio Segreto Vaticano relativi al pontificato di Pio XI (8 febbraio 1922 - 10 febbraio 1939) permette di analizzare con il massimo rigore i fatti accaduti in Spagna dal 1931 fino al 1939. E i documenti vanno letti senza preconcetti e senza manipolazioni. Chiarisco subito: oggi conosciamo come si è evoluta la storia della Spagna durante il regime militare di Francisco Franco e in seguito, con l'avvento della democrazia. Non possiamo però commettere l'errore di giudicare le scelte fatte prima di questi eventi alla luce di ciò che è accaduto dopo. Voglio essere ancora più chiaro: nel preciso momento storico in cui la Santa Sede nel 1938 riconosceva il Governo nazionale di Franco, questi rappresentava l'unica scelta in quanto stava salvando la Chiesa spagnola dalla persecuzione religiosa.

Per giudicare meglio quegli eventi, quali novità apportano i documenti dell'Archivio Segreto Vaticano?

In questa documentazione vengono confermate notizie che già conoscevamo, arricchite però con numerosi dettagli sul carattere energico di Pio XI e sulla sua progressiva ritrosia per la negoziazione diplomatica con i repubblicani spagnoli. I documenti testimoniano inoltre la fedeltà del segretario di Stato Eugenio Pacelli, la sua aperta opposizione alla rottura con la Repubblica e, insime, le sue numerose riserve sul riconoscimento ufficiale del regime di Franco. Gli atti delle diverse riunioni plenarie della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari ci mostrano infatti la chiara ostilità di Pacelli verso tutto ciò che si richiamava all'ideologia nazista. Questo tema, sebbene appaia secondario - per molti anni in parte taciuto o chiaramente eluso - rappresenta invece un elemento determinante per spiegare la diffidenza di Pio XI e del futuro Pio XII verso la Spagna di Franco.

Può indicarci altri elementi innovativi di questi documenti?

Per la loro ricchezza e abbondanza essi ci consentono finalmente di uscire dalla discussione estenuante e sterile sulle "colpe" e i "silenzi" del Papa e della Chiesa spagnola. Ci consentono di seguire il processo di maturazione del Pontefice e di evitare in tal modo alcune contrapposizioni ingenue, come quella di opporre la linea diplomatica della Chiesa a una malintesa posizione profetica secondo la quale la coerenza cristiana si manterrebbe pura soltanto sottraendola al confronto con le scelte del mondo.

Quali sono le fonti di maggiore interesse?

Certamente gli appunti che il cardinale Eugenio Pacelli scriveva quotidianamente dopo i suoi incontri con il Papa. Sono foglietti - i cosiddetti taccuini di Pacelli, trascritti dal 10 agosto 1930 al 3 dicembre 1938 - che ci rivelano molto su due personalità tanto distinte quanto reciprocamente attratte. Lo stesso si potrebbe dire di altre figure della Segreteria di Stato, per esempio Giuseppe Pizzardo o anche Domenico Tardini. Vi sono poi i dispacci inviati dalla nunziatura di Madrid da Federico Tedeschini, Silvio Sericano, Ildebrando Antoniutti e Gaetano Cicognani: un osservatorio privilegiato per comprendere non soltanto la situazione della Spagna e le difficoltà dei vescovi che vissero la tragedia della Chiesa prima, durante e dopo la guerra, ma anche il loro conflitto interiore tra la fedeltà alla patria e alla fede.

Proviamo allora, sulla base dei documenti, a ricostruire quegli eventi

Innanzitutto va ricordato che la seconda Repubblica spagnola venne proclamata il 14 aprile 1931 senza alcuna legittimità politica. Le elezioni del 12 aprile furono infatti delle semplici consultazioni amministrative peraltro vinte dai candidati monarchici. Però a Madrid e in alcune grandi città prevalsero i repubblicani. Re Alfonso xiii allora - per evitare scontri e spargimenti di sangue - decise di abbandonare immediatamente la Spagna lasciando campo libero ai repubblicani.

Quale atteggiamento tiene Pio XI a riguardo?

L'autoproclamazione della Repubblica, in realtà fu una sorta di colpo di Stato. Ciò nonostante Papa Pio XI afferma immediatamente che la Repubblica va riconosciuta e dà istruzioni precise ai vescovi di collaborare con i repubblicani per il bene comune e della nazione. Tre giorni dopo l'autoproclamazione repubblicana, il Papa decide di riunire i cardinali membri della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari affinché, alla luce dei fatti recenti, esprimano il loro parere sull'opportunità di riconoscere la Repubblica e sulle istruzioni che si devono dare al nunzio. Dagli atti della riunione plenaria del 23 aprile emerge che alcuni cardinali pongono la questione della legittimità della Repubblica e manifestano dubbi su di essa dal punto di vista strettamente giuridico; preferiscono però concentrarsi sulla questione del riconoscimento diplomatico della Repubblica. Per il cardinale Pacelli "la Santa Sede è disposta ad assecondare il Governo provvisorio nell'opera del mantenimento dell'ordine, nella fiducia che anche il Governo vorrà da sua parte rispettare i diritti della Chiesa e dei cattolici (...). Simile istruzione converrebbe dare al nunzio e per di lui mezzo ai vescovi. Non eventuali eccessivi entusiasmi né passi comuni; ma rispetto dell'autorità costituita e richiamo al dovere di assecondarla per il mantenimento dell'ordine". Il nunzio a Madrid da quel momento cerca di evitare conflitti e d'instaurare un rapporto di amicizia personale con i dirigenti del nuovo sistema. In quei giorni sul diffusissimo e autorevole giornale d'ispirazione cattolica "El Debate" si legge: "Questo è il regime politico che noi dobbiamo accettare lealmente e col quale collaborare".

Eppure già nel primo anno della Repubblica cominciano gravi espressioni di anticlericalismo.

Infatti, nonostante l'atteggiamento della Chiesa, i repubblicani - prima ancora di avere la piena legittimità politica - cominciano a legiferare in modo anticlericale e antireligioso. Lo scontro è quindi immediato. E contro tutte queste leggi, il Papa ordina al nunzio di protestare. Tra i documenti della nunziatura si rintracciano quasi cento note diplomatiche di protesta. Il 25 agosto Pacelli scrive: "Tutti questi signori hanno agito e fatto e legiferato e si propongono di legiferare, senza sentire la Santa Sede; e si dicono cattolici!". Di pari passo con certe chiusure della legislazione comincia anche tra la gente un clima di aperta ostilità alla Chiesa. Il 10 maggio del 1931 in diverse città spagnole, a partire da Madrid, Valencia e Málaga, scoppiano incendi, con saccheggi e distruzioni di chiese e di conventi. La gravità - a parte il fatto in sé, che porta a una prima distruzione del patrimonio artistico storico e culturale della Chiesa spagnola - risiede proprio nella passività del Governo repubblicano che non vuole intervenire e non cerca neanche i responsabili.

Quando parliamo di repubblicani a chi facciamo riferimento specifico?

Con le elezioni politiche del 1931 il Governo repubblicano è completamente contrassegnato dalla sinistra, anzi, dall'estrema sinistra: soltanto il presidente Alcalá Zamora e il ministro dell'interno sono cattolici. Ci sono i comunisti, i socialisti più radicali, i marxisti, e poi vari gruppi estremisti come gli anarchici. Nell'ombra poi agisce la massoneria che non si sporca le mani nelle operazioni di devastazione, ma si adopera per indirizzare le idee e affermare la necessità di eliminare la Chiesa dalla Spagna.
Alla fine del 1931 viene approvata la Costituzione e l'anno successivo è contrassegnato da un altro significativo atto contro la Chiesa cattolica.
La Costituzione - di stampo marcatamente anticlericale - viene approvata nel dicembre del 1931. Il primo obiettivo viene raggiunto nel 1932 con la soppressione della Compagnia di Gesù.

Di fronte a certi eventi come emerge la personalità di Pio XI?

Pio XI ha una personalità forte, molto chiara e molto diretta. È un decisionista. Non vuole perdere altro tempo. Negli appunti di Pacelli si trovano registrati diversi momenti di forte tensione del Papa il quale sembra anche disposto a rompere completamente i rapporti con la Repubblica. Scrive Pacelli il 6 maggio 1932: "Il Santo Padre ha difficoltà per la permanenza del nunzio in Spagna. Si ha l'aria di avere relazioni diplomatiche normali con uno Stato che ci ha calpestato brutalmente. È pensiero tormentoso. Ma forse col richiamo del nunzio potrebbe venire peggio".

Nel 1933 la dialettica fra la Santa Sede e la Repubblica comincia a farsi serrata...

Sì, perché nel 1933 viene promulgata la Legge sulle confessioni e le congregazioni religiose, ed è chiaramente un modo per colpire direttamente la Chiesa cattolica dato che in Spagna - dove non c'è ufficialmente libertà di culto - di fatto non esiste confessione diversa dalla cattolica (a parte i pochissimi protestanti, tollerati). Insomma la legge, di fatto, è una finzione giuridica. Una legge gravissima che infligge un colpo mortale alla Chiesa. È a questo punto che giunge da parte di Pio XI il primo pronunciamento ufficiale sulla situazione politica spagnola: la lettera enciclica Dilectissima nobis. È il 3 giugno 1933. Qui egli afferma: "La Chiesa sta subendo in Spagna una persecuzione". È la prima volta che si usa questa parola in un documento così importante del magistero pontificio.

In questo stesso anno sembra però arrivare una svolta positiva.

Accade che le elezioni politiche portano a un ribaltamento degli equilibri: vince il centrodestra, ma con una maggioranza non autosufficiente: per formare un governo deve allearsi con elementi repubblicani moderati. Cosicché per la Chiesa la situazione di tensione sembra allentarsi anche se non si risolvono i problemi di fondo.

E nel 1934 i repubblicani cercano di impostare nuovi rapporti con la Santa Sede.

Il nuovo ministro degli Esteri Leandro Pita Romero manifesta volontà di collaborazione. Sembra davvero una finestra aperta verso un futuro più sereno. Lo stesso ministro si autonomina ambasciatore plenipotenziario al fine di condurre personalmente i negoziati. Pita viene ricevuto con tutti gli onori in Vaticano il 10 giugno 1934. Anche se Pacelli e Pio XI non si fidano dell'ambasciatore. Su un appunto del 17 luglio 1934 troviamo scritto: "Le trattative sembrano al Santo Padre un perditempo e un creare un equivoco". Ciò nonostante il Papa e il segretario di Stato vogliono ascoltare proposte e richieste. E il ministro presenta progetti ritenuti inaccettabili. Mesi di negoziazioni con Pacelli, con Tardini, con Pizzardo non portano a nulla. Alla fine, il 28 agosto 1934, il Papa rompe gli indugi e mette un punto. Scrive Pacelli: "Il Santo Padre, il quale ha voluto occuparsene personalmente, non vuol negare che l'Ambasciatore mostra qualche buona volontà, ma il suo progetto uti iacet non è accettabile. Aspettiamo che venga un momento in cui si possa contare sulle loro possibilità. Non vogliamo domandare loro l'impossibile. Ma è più impossibile per noi andare contro la legge di Dio. Egli manda una benedizione, se la desidera. Questo non significa che da parte nostra si rompano le trattative. Siamo pronti a continuare e discutere. Vi sono ostacoli insormontabili, ma questa condizione di cose non è stata creata dalla Santa Sede. Loro continuano a parlare e a dire inesattezze. Noi dovremo difenderci. Mai eccederemo nella difesa".

Nel frattempo il Governo moderato di centrodestra promette una revisione della Costituzione...

Che però non si farà mai.

Quindi non si arriva a un accordo?

No, perché il Papa continua a non fidarsi dell'ambasciatore e del Governo repubblicano. Il 29 gennaio 1935 Pacelli scrive: "Non possiamo proporre noi il modus vivendi; saremmo in contraddizione con quanto abbiamo fatto finora. Piuttosto i cardinali spagnoli suggeriscano al Governo di proporre qualche progetto, eventualmente corretto". L'8 marzo 1935, commentando il rapporto del nunzio di Madrid sulla riforma della Costituzione, il Papa ordina a Pacelli: "Telegrafare al nunzio per spiegazioni. All'ultima ora viene una riforma della Costituzione su tali basi. Noi siamo turlupinati". E dieci giorni dopo Pacelli scrive: "Il Santo Padre è deciso di non farne nulla; non vuole sporcarsi le mani". Tuttavia, in seguito a un nuovo intervento del cardinale Francisco Vidal y Barraquer, Pio XI decide il 22 marzo: "Rispondere che, tutto ben considerato, trattandosi da una parte di una Costituzione che essi dicono di non poter cambiare, mentre è una Costituzione in linea religiosa vessatoria e persecutrice, teme il Santo Padre che questo modus vivendi non sia che una preparazione; quanto più avremo ora concesso, tanto meno avremo in mano per un futuro concordato. I vescovi, il clero, i cattolici facciano quello che possono per la difesa della Chiesa e fidiamoci un po' della misericordia di Dio. Finché le cose stanno così, non si vede come si possa fare un modus vivendi". Ancora il 16 luglio il Papa autorizza Pacelli a comunicare all'ambasciatore Pita che "le trattative sono non rotte, ma soltanto sospese, finché la Costituzione potrà essere riformata. Questa è stata sempre la mente della Santa Sede". Infine il 26 novembre 1935 il Papa commenta con Pacelli: "Vedere se si possa entrare in prodromi di trattative per un modus vivendi, ma colla promessa che non si domandi più di quello che non vogliamo dare, e noi non vogliamo dare più di quello che possiamo per non rimanere poi a mani vuote. Essi hanno difficoltà, ma le abbiamo anche noi. Debbono aver meno di quello che hanno coloro che fanno un concordato in regola".

Facciamo un piccolo passo indietro e torniamo al 1934 che, purtroppo, porta con sé i primi morti della persecuzione.

È vero. I risultati delle elezioni del 1933 non vengono accettati dalle sinistre che provocano la prima rivoluzione di stampo stalinista nella regione più conflittuale della Spagna, le Asturie, regione di miniere di carbone. È l'ottobre 1934 e in una settimana vengono trucidati una quarantina di ecclesiastici, tra i quali nove fratelli delle scuole cristiane (canonizzati nel 1999) impegnati come maestri dei bambini dei minatori locali. La Rivoluzione delle Asturie è uno snodo importante: secondo l'intellettuale Gregorio Marañón, è il primo tentativo di instaurare un sistema sovietico nella Spagna repubblicana. È opinione di intellettuali spagnoli di quel tempo, come Salvador de Madariaga, che dopo i fatti delle Asturie la sinistra spagnola abbia perso qualsiasi autorità morale per condannare la ribellione del 1936.

Ormai la rivoluzione è nell'aria...

È vero. E il Governo non ha la forza per fronteggiarla adeguatamente. Anche perché le forze rivoluzionarie crescono sempre più, tanto che riescono a bloccare l'attività del Governo, a farlo cadere e a obbligare il presidente della Repubblica a indire nuove elezioni per il 16 febbraio 1936. È una data fatidica.

Ancora una volta le elezioni segnano per i cattolici l'inizio di un periodo più buio. Di nuovo la sinistra sconfitta reagisce portando per le strade violenza e distruzione.

Tutte le sinistre hanno capito che la loro divisione favorisce le destre. Si compatta perciò il Fronte popolare, ovvero l'unione di tutti i partiti di sinistra e di estrema sinistra più gli anarchici e gli extraparlamentari. Ricordiamo che ancora oggi non si conoscono i risultati di quelle elezioni. Sembra ci sia stata una vittoria delle destre, peraltro mai documentata. Fatto sta che gli esponenti del Fronte popolare, così come era successo per la proclamazione della Repubblica nel 1931, cantano comunque vittoria senza trovare opposizione nella destra e nei moderati.

Il Governo del Fronte popolare comincia il 18 febbraio.

Da quel giorno s'inaugura una spirale di violenza sempre più intensa contro tutto ciò che ha un legame con la Chiesa. Una testimonianza impressionante di questi fatti si ritrova in una relazione del nunzio Federico Tedeschini, di cui ho curato l'edizione critica che è in corso di pubblicazione. In più di trecento pagine egli descrive, giorno per giorno, tutti i fatti accaduti in Spagna: atrocità, violenze, profanazioni e distruzioni. In questo crescendo di disumanità il Papa - sperando forse di ottenere un po' più di rispetto per la Chiesa - decide di far rimanere a Madrid il nunzio Tedeschini appena creato cardinale. Tutto inutile. Il Papa è costretto a chiedere al nunzio di scrivere continue note diplomatiche e lettere di protesta.

Come si arriva all'apice dello scontro, alla divisione della Spagna in due parti contrapposte?

Nel luglio del 1936 il capo dell'opposizione al parlamento, José Calvo Sotelo, viene ucciso da corpi armati dello Stato. L'esasperazione giunge al massimo livello e si scatena quello che viene chiamato l'alzamiento nacional, ovvero la ribellione militare contro la Repubblica. Dopo quel gesto estremo molti mettono in dubbio la legittimità stessa di un Governo che ha ordinato la soppressione del capo dell'opposizione, ha aperto le carceri e liberato delinquenti comuni che impugneranno le armi insieme ai miliziani "rossi". Interessante notare come si tratti di un movimento civile e militare insieme. Una parte del popolo, infatti, si unisce alla ribellione e si nutre di sussulti e di tentazioni molto comuni nell'Europa di quegli anni: è il momento dell'ascesa dei totalitarismi, con le democrazie che manifestano debolezza e con i cosiddetti uomini forti che suscitano fascino e alimentano entusiasmi nelle masse: Hitler in Germania, Mussolini in Italia e Stalin nell'Unione Sovietica.

La dittatura appare quindi come una soluzione?

Diciamo che in quel momento di totale caos politico la scelta autoritaria appare ancora come una soluzione rassicurante. Ma attenzione: al momento dall'alzamiento Francisco Franco ancora non c'è. Non figura neanche tra i firmatari del primo documento del Comitato di Difesa Nazionale che il 30 luglio 1936 chiede - vanamente - un riconoscimento alla Santa Sede.

È allora che inizia la vera persecuzione religiosa?

Nonostante certe cautele della Chiesa, subito dopo il sollevamento militare, inizia la caccia al religioso da parte dei repubblicani: è la vera e propria persecuzione religiosa che avrà termine solo alla fine della guerra. Mentre la Spagna si divide in due la persecuzione imperversa nella parte repubblicana sulle persone e sulle cose: chiese, conventi e anche cimiteri, dove vengono riesumati i cadaveri di religiosi e di religiose per poterli profanare e per poter infierire su di essi. È un massacro: si tratta infatti del tentativo di eliminazione totale di una parte intera della popolazione spagnola, quella costituita dagli ecclesiastici e dai religiosi, uomini e donne. Ecco perché i repubblicani non si accontentano di preti, frati e suore, ma vanno a colpire anche i monumenti, i luoghi simbolici e gli edifici sacri. Una barbarie unica.

E il Governo non riesce a controllare certi accanimenti?

Non solo non riesce, ma quasi li incentiva, li promuove. In un rapporto del ministro repubblicano della Giustizia Manuel de Irujo, resoconto di sei mesi di rivoluzione, si legge: "Abbiamo distrutto tutto, non rimane più nulla". In molti libri di storia si è detto che le violenze occorse nella zona repubblicana furono in gran parte frutto di iniziative popolari incontrollate e seguirono di molto i massacri perpetrati fin dai primi giorni dell'alzamiento dei militari. Ma il rapporto del ministro Irujo smentisce categoricamente queste affermazioni, dichiarando apertamente che "la sistematica distruzione di chiese, altari e oggetti di culto non è certo un'opera incontrollata. La fucilazione di sacerdoti non può avere alcuna spiegazione possibile e pone il Governo della Repubblica davanti al dilemma della sua complicità o della sua impotenza, con la conseguenza che né l'una né l'altra delle conclusioni possibili possono giovare alla politica esterna della Repubblica e all'apprezzamento della sua causa davanti al mondo civile".

Quali sono le decisioni e i gesti di Pio XI dopo lo scoppio della guerra?

Nei suoi appunti Pacelli l'11 agosto commenta: "Ho per la terza volta sottoposto al Santo Padre l'idea, proposta da molti, di una funzione espiatoria o riparatrice per i dolorosi fatti di Spagna. Ha approvato l'articolo ufficiale apparso ieri sera sull'Osservatore Romano e preparato dalla Segreteria di Stato: "La Santa Sede e la situazione religiosa di Spagna"". Questo articolo riporta la celebre nota ufficiale della Santa Sede sulla situazione della persecuzione religiosa in Spagna. La nota viene ritenuta durissima dall'ambasciatore della Repubblica. È una denuncia pubblica al mondo a soli venti giorni dall'inizio della guerra, è redatta da Pacelli - se ne può vedere la minuta - ed è approvata espressamente dal Papa. Il 15 agosto per la prima volta tra il Papa e il Segretario di Stato si parla dell'opportunità di una lettera pontificia per la Spagna. Scrive Pacelli: "Visto che anche questa metà di mese è passata senza risultato, che gli aiuti negati formalmente, ma in realtà inviati minacciano di prolungare la lotta, ricordandoci che siamo il Padre non solo di tutti i credenti, ma anche di tutti i redenti, diciamo a tutti i nostri figli di Spagna: cessate dal sangue, dall'uccidervi tra voi, perché per il Padre è troppo straziante il vederlo. E invitare tutto il mondo a pregare per la cessazione della strage fraterna. Telegrafare a Mons. Sericano quali sono le previsioni o a Mons. Hurley". Dieci giorni dopo, Pacelli scrive il commento più lungo sulle cose della Spagna: "Domandare a don Carmelo - Carmelo Blay era l'agente dei Vescovi presso il Collegio Spagnolo a Roma - se vi sono altri vescovi a Roma, oltre quello di Vich. (...) E domandare loro: il Santo Padre sentirebbe volentieri da lui, come dai suoi confratelli, che cosa pensano che si possa utilmente fare dal Santo Padre di fronte al mondo cattolico. Indire in tutto il mondo quelle preghiere che già si fanno in molti luoghi? E confortarlo e dargli una benedizione speciale. Indire preghiere: ma come? in qual senso? La prima cosa da fissare: a chi ci rivolgiamo?". Nello stesso documento Pacelli annota un progetto di lettera del Santo Padre per dare una notizia al mondo intero: "Cominciare col dire avremmo creduto di poter risparmiare di scrivere per quello che sarà l'oggetto della presente. Avevamo sperato perché avevamo creduto che una guerra civile, come quella che vediamo nella Spagna, non fosse possibile. Ma quello che credevamo impossibile, è divenuto il fatto lagrimevole. Abbiamo allora creduto che fosse un fatto tanto breve di durata quanto era stato violento a scatenarsi, ma anche questo non si è mostrato rispondente alla realtà".

Il 14 settembre 1936 Pio XI riceve a Castel Gandolfo un gruppo di esuli spagnoli.

Sì, e pronuncia un discorso molto lungo nel quale parla della persecuzione. Dato interessante è che, nonostante si registrino già circa 3.500 ecclesiastici trucidati, il Papa nel discorso fa riferimento anche agli uccisori, ai repubblicani, un riferimento che inizia con queste parole: "E gli altri dove sono? Gli altri sono figli nostri anche se loro non ci riconoscono come padre, noi li amiamo con amore di padre perché sono figli nostri". È un discorso bellissimo che ha una vastissima diffusione e ripercussione nella stampa mondiale: si tratta del primo pronunciamento della Santa Sede sulla situazione spagnola. In Spagna però Franco cancella questo discorso con la censura governativa. Nessuno viene a sapere che il Papa ha pronunciato queste parole. Questa ampia allocuzione pontificia è un testo fondamentale per la storia della persecuzione religiosa spagnola perché in essa, per la prima volta, si parla di martirio in riferimento alle vittime della medesima.

Perché i vescovi spagnoli aspettano un anno prima di pronunciarsi?

Perché non vedono chiara la situazione nei primi mesi e perché il Vaticano aspetta ancora. Ma il 1° luglio 1937 i vescovi pubblicano una lettera collettiva di informazione al mondo per smentire la propaganda della Repubblica. Si badi bene: sono già stati massacrati oltre 6.500 ecclesiastici e praticamente distrutte tutte le chiese che si potevano distruggere e si assiste a un pericolo reale di annientamento totale della Chiesa e di tutto ciò che ha riferimento con la Chiesa (opere d'arte, libri, documenti, e così via). La lettera dei vescovi viene interpretata come un appoggio morale alla causa nazionale contro quella repubblicana. Del resto i vescovi in quel momento di persecuzione totale vedono nei nazionali l'unica possibilità di salvezza per la Spagna che rischia di finire nelle mani del comunismo stalinista. A questo proposito il cardinale Vicente Enrique y Tarancón, che poi sarà arcivescovo di Madrid fino al 1983, nelle sue memorie scrive: "In quei momenti la Chiesa aveva il dovere di essere belligerante, cioè di schierarsi perché c'erano due Spagne: la rossa che ti ammazza e l'altra che ti salva". Storicamente è importante ricordarlo e soprattutto sottolineare che in quel preciso momento non si poteva conoscere l'evoluzione politica successiva. Se in quel momento i militari ribelli alla Repubblica offrivano una possibilità di salvezza, cosa doveva fare la Chiesa, allearsi col persecutore? Con chi la stava annientando?

In definitiva, a partire dal 1° luglio 1937 la Chiesa si lega moralmente ai nazionali.

Ma bisogna dire che lo fa come gesto disperato, come unica opzione possibile per la sopravvivenza e, lo ripetiamo, senza poter sapere quale sarebbe stata l'evoluzione politica successiva. Il tono della lettera è abbastanza moderato in considerazione delle tragiche circostanze in cui fu scritta. Giudicata alla luce e con la mentalità di un tempo di duro confronto e di lotta, si tratta di un documento spiegabile e comprensibile. In esso la guerra non viene mai chiamata "crociata" e l'unica volta che compare questa parola è per negare tale carattere alla contesa.

Una Spagna divisa in due, violenze e atrocità. Quali sono in questi anni i rapporti della Santa Sede con i due Governi durante la persecuzione?

La Santa Sede nonostante lo scoppio della guerra mantiene i rapporti diplomatici con la Repubblica e non riconosce ancora il Governo nazionale. Il movimento militare sceglierà come capo il 1° ottobre 1936 il generale Franco, ma nei mesi più duri della persecuzione (dal 18 luglio alla fine di settembre) egli non è capo del Governo, non ha neanche una struttura statale alle spalle: è solo un militare dalle mire ancora non chiare. Infatti il problema del Papa è proprio capire chi è Franco. Non lo sa ancora nessuno. Anche quando i vescovi in qualche modo riconoscono il regime - un anno dopo l'inizio della guerra - egli ancora mantiene un atteggiamento prudente.

In sintesi: il Papa da subito protesta aspramente contro le persecuzioni ma per prudenza aspetta a compiere passi ufficiali di schieramento.

Sì, ed è una situazione che durerà fino al maggio 1938, cioè fino all'arrivo a Madrid del nunzio Gaetano Cicognani. Nel dicembre del 1936 - mentre la guerra è in pieno svolgimento e ci sono in corso proposte di non intervento e di mediazione - Pio XI dice a Pacelli: "L'autorizzo a trattare. Dire all'Ambasciatore di Francia che la Santa Sede è desiderosa di contribuire ad una cosa che tenda a far cessare tale guerra, ma intende di avere anche le garanzie le più sincere che questo non intervento da parte di tutte le Potenze è inteso nel senso vero di non intervento né ufficiale né privato, né diretto né indiretto, né attivo né permissivo. Se noi abbiamo queste garanzie, perché dobbiamo negare il nostro concorso a questa azione pacificatrice? Ma neanche Noi possiamo esporre la Santa Sede alla triste figura fatta finora: hanno creduto una cosa e ne hanno fatto un'altra. E quali garanzie vi sono per la religione nelle parti soggette ai rossi? Tutto è ivi distrutto! Chi ci assicura contro le falsità e lo spirito diabolicamente mendace di questi rossi? Domani ci possiamo trovare di fronte ad aver cooperato al trionfo dei rossi. Il Santo Padre offre volentieri quanto precede. L'armistizio non servirebbe che ai rossi. Il Generale Franco non lo accetterebbe, essendo pienamente sicuro del suo trionfo" (udienza dell'11 dicembre 1936). Pio XI non vuole allearsi con nessuno, vuole mantenersi indipendente: quando gli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna giungono in Vaticano per chiedere un intervento del Papa, lui mostra, sì, di voler cercare una mediazione, ma non vuole collegarla né con le forze dell'Asse Roma-Berlino né con Londra o Parigi. "Il Papa - dirà Pacelli agli ambasciatori - non ha interessi politici da difendere ma pensa soltanto alla salvezza delle anime, alla salvezza della Chiesa".

Questo è il periodo in cui da parte della Chiesa maturano le scelte che maggiormente sono al centro dei dibattiti e delle polemiche. Gli archivi recentemente aperti hanno fatto conoscere notizie nuove in merito?

Oltre le cose già dette, una scoperta importante che emerge dagli archivi è certamente quella relativa a due vescovi: il cardinale di Tarragona Francisco Vidal y Barraquer e il vescovo di Vitoria Mateo Múgica, che non firmano la lettera collettiva dell'episcopato e che fino a ora erano considerati gli emblemi dell'antifranchismo. I due vescovi, ambedue in esilio - il primo scappato dalla persecuzione, il secondo espulso - non firmano, è vero, ma i documenti dimostrano che essi sono d'accordo pienamente col contenuto della lettera, anche se non la ritengono opportuna in quanto credono che provocherà una persecuzione ancora più intensa. Nelle loro missive personali a Pacelli si legge che i due vescovi desiderano la vittoria di Franco, che addirittura pregano perché egli vinca e, anzi, chiedono a Pacelli se é opportuno fare manifestazioni pubbliche di simpatia verso Franco. Pacelli consiglia invece prudenza. Per anni è stato strumentalizzato il fatto che il cardinale Vidal e il vescovo Múgica non firmarono la lettera collettiva dei loro confratelli e ciò è servito a qualcuno per sconfessare il carattere "collettivo" di quel documento. Nessuno, però, ricorda che altri dodici vescovi non lo poterono firmare perché erano stati uccisi dai repubblicani, alcuni in modo atroce e dopo aver subito supplizi inenarrabili e amputazioni di parti del corpo.

Ci furono tentativi del Papa per mitigare gli orrori della guerra?

Alla fine di luglio del 1937 - mentre mantiene i rapporti diplomatici con la Repubblica - il Papa invia in Spagna monsignor Ildebrando Antoniutti per verificare la possibilità di avviare relazioni ufficiose col Governo nazionale. Pio XI per due anni cerca diverse mediazioni, compie molti interventi per far sì che la guerra finisca quanto prima, per attutire gli orrori, per salvare le città; interviene anche personalmente presso Franco per chiedere grazie per condannati a morte o riduzioni di pene o indulti. Questa situazione perdura fino al maggio del 1938, ovvero quasi alla fine della guerra, e quando la Repubblica ha già perso credito a livello internazionale, quando c'è l'invio del nunzio Cicognani. Per il Natale del 1938, Pio XI tramite il nunzio chiede a Franco una tregua di almeno 48 ore. Ma la tregua non arriva e la guerra si chiude con la vittoria di Franco il 1° aprile 1939.

Alla fine della guerra Pio XII pronuncia un discorso dove dice: "Finalmente è tornata la pace".

In realtà noi sappiamo che non sarebbe stato così, ma lo sappiamo oggi. Inizia infatti l'instaurazione di un regime militare, pienamente riconosciuto pochi anni dopo da moltissimi Governi nonché dalle Nazioni Unite e dall'Unione Sovietica, e con il quale la Santa Sede, gli Stati Uniti e altre nazioni concluderanno accordi e firmeranno trattati. Ma questa è un'altra storia che potremmo conoscere e spiegare meglio quando avremo a disposizione i documenti del pontificato di Pio XII (1939-1958).

È nel contesto della guerra civile che dobbiamo parlare della persecuzione religiosa e dei martiri beatificati?

Certamente, ma dobbiamo dire che la persecuzione iniziò praticamente nel maggio del 1931, poi ci furono anche i martiri della rivoluzione delle Asturie nel 1934. Dobbiamo distinguere i morti se non vogliano fare confusione. Tutte le persone morte meritano il massimo rispetto, ma non tutti i morti sono uguali. Chi muore in un incidente stradale non può essere equiparato a chi è vittima, per esempio, di un attentato terroristico. Purtroppo nelle guerre ci sono i caduti che muoiono sui campi di battaglia. Ci sono poi le vittime della repressione politica, cioè persone che vengono uccise per motivi ideologici: nella guerra di Spagna la repressione fu durissima da parte di tutti e due gli schieramenti. Ci sono infine coloro che vengono uccisi per motivi religiosi, per motivi di fede: questi sono i martiri, da non confondere né con i caduti né con la vittime della repressione politica, perché i martiri non impugnarono mai le armi, non fecero la guerra contro alcuno, non manifestarono mai le loro idee politiche né fecero parte di gruppi o movimenti politici; morirono perdonando e perdonarono amando a imitazione di Cristo in croce. Non furono uccisi per le loro idee politiche ma per la loro fede cristiana, altrimenti non si spiega perché furono invitati, prima di morire e come condizione per salvare la propria vita, a rinunciare alla loro fede, a bestemmiare, a sputare sul Crocifisso o sulle effigi mariane. Altrimenti non si spiega perché tanto accanimento anche contro i simboli della religione: chiese, conventi, immagini e oggetti sacri. Lo Stato democratico ha il diritto di ricordare e onorare i caduti in guerra e le vittime della repressione politica sia dalla parte nazionale che dalla parte repubblicana. Ma la Chiesa ha il diritto e il dovere di mantenere viva la memoria di coloro che diedero la loro vita con il martirio per difendere la propria fede e, quindi, non beatifica i martiri dell'una o dell'altra parte, ma semplicemente coloro che furono trucidati in odium fidei, in odium Ecclesiae, senza alcun rancore verso i persecutori e senza alcuna intenzione politica perché i martiri non hanno colore politico.

Infine, come storico, cosa ci può dire del pregiudizio che ha fin qui impedito di far luce su alcune pagine della storia recente europea e che ha cercato di occultare la persecuzione religiosa in Spagna?

La persecuzione religiosa nella Spagna degli anni Trenta è stata la pagina più vergognosa della seconda Repubblica spagnola e ha lasciato nella memoria una traccia difficile da cancellare. Questa Repubblica è diventata un mito per una certa sinistra che vive ancorata in un passato ormai tramontato e non riesce a fare i conti con la propria storia. Essa invece ha accusato di oscurantismo e di revisionismo il Vaticano quando ci fu la beatificazione dei 498 martiri spagnoli. Qualcosa di simile accadde l'11 marzo 2001 in occasione della beatificazione di 233 martiri di Valencia, trucidati in odio alla fede dai socialcomunisti e dagli anarchici durante la guerra civile. In quell'occasione alcuni giornali parlarono addirittura di "implicita legittimazione del franchismo e dell'orrore fascista". Ma un editoriale del "Wall Street Journal" parlò di "un colpo da maestro", che da una prospettiva storica segnava forse "l'inizio della verità dei fatti". Quali? Quelli che abbiamo descritto, cioè circa settemila ecclesiastici e parecchie migliaia di cattolici trucidati durante la guerra spagnola, senza contare il sinistro anticipo nelle Asturie. La cosa strana invece è che, a decenni di distanza, il ricordare queste vicende abbia provocato scandalo.


(©L'Osservatore Romano - 1 aprile 2009)

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