miércoles, 18 de agosto de 2010
Nell'aprile 1931 vennero diffuse false notizie sulle relazioni tra Santa Sede e Repubblica Spagnola
E il nunzio smentì il "Corriere della Sera"
di Vicente Cárcel Ortí
Due settimane dopo la proclamazione della Seconda Repubblica, il "Corriere della Sera", il 28 aprile 1931, pubblicò un articolo in cui sosteneva che la rivoluzione politica verificatasi in Spagna aveva spinto Pio xi a sospendere sine die il concistoro che si sarebbe dovuto celebrare pochi giorni prima, riprendendo le notizie pubblicate dalla "Central News", diceva che il Papa nel suo discorso concistoriale aveva intenzione di parlare del recente cambiamento verificatosi nella politica spagnola, ma che, poiché tutto era ancora molto incerto, il concistoro non avrebbe avuto luogo.
Nello stesso giornale si diceva anche che il Preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Wladimiro Ledóchowski, aveva dato istruzioni alle comunità che i gesuiti avevano in Spagna affinché fossero preparate dinanzi ai nuovi eventi che si profilavano all'orizzonte perché avrebbero riguardato direttamente la Chiesa, gli ordini religiosi e, in particolare, i figli di sant'Ignazio.
L'articolo terminava dicendo che nel suddetto concistoro si pensava di creare cardinale il nunzio Federico Tedeschini, che era da oltre dieci anni a capo della rappresentanza pontificia a Madrid, ma che, al momento, ciò non era possibile perché il cardinale Pacelli, segretario di stato, gli aveva dato l'ordine di restare al suo posto. Questa notizia richiamò molto l'attenzione del primo ministro Alejandro Lerroux, che chiese chiarimenti allo stesso nunzio in una lettera personale e confidenziale datata 30 aprile. "Sebbene sia molto abituato - gli disse - a leggere ogni giorno sui quotidiani notizie ispirate solo dalla fantasia, le sarei molto grato, data l'importanza di quanto segnalato in ciò che le ho precedentemente trascritto, se avesse la bontà, se non vi vede alcun inconveniente, di indicarmi il credito che bisogna dare alle affermazioni che ho visto riportate solo dal citato quotidiano di Milano".
Tedeschini rispose il giorno dopo con molto piacere e lo fece "come lo avrebbe fatto con un tema che offre l'occasione di parlare con una persona amica e allo stesso tempo costituisce uno svago per lo spirito". Secondo il nunzio, i corrispondenti vaticani dei giornali erano obbligati a intrattenere il pubblico, che voleva informazioni sull'attività della Santa Sede e "vivevano in generale della loro fervente e, per di più gratuita, fantasia".
Uno dei temi preferiti dei vaticanisti di ogni epoca, sia oggi come allora, sono i concistori dove vengono creati i nuovi cardinali. Era consuetudine durante il pontificato di Pio xi celebrare due concistori l'anno, uno in primavera e l'altro alla fine di ottobre, anche se non sempre tali date venivano rispettate, non in tutti i concistori venivano creati cardinali, e alcuni si limitavano alla provvisione di diocesi vacanti o alla lettura di decreti di canonizzazione. Nel nostro caso, il corrispondente del "Corriere della Sera" seguì quindi questa consuetudine e la seguì con ancora maggiore serietà in quanto il concistoro solitamente si celebrava nei mesi di maggio-giugno e se ciò non avveniva, il giornalista non si dava per vinto, essendo la sua unica preoccupazione quella di raccontare qualcosa ai lettori riguardo alle questioni del Vaticano.
"C'è inoltre un'osservazione da fare - disse Tedeschini nella sua lettera a Lerroux - e cioè che nei precedenti pontificati non era azzardato fare previsioni circa i concistori, sia perché si sapeva che il Sommo Pontefice seguiva fedelmente determinati usi, sia perché lo stesso Papa poteva a volte confidarsi in anticipo con i suoi collaboratori più stretti. Nel presente Pontificato invece non è mai possibile annunciare la convocazione di un concistoro in quanto il Sommo Pontefice Pio xi non confida assolutamente a nessuno le sue intenzioni in materia, né si considera legato a consuetudini passate".
Tedeschini sapeva di cosa stava parlando poiché durante il pontificato di Benedetto xv (1914-1922) era stato una delle persone in cui il Papa aveva riposto la massima fiducia, come dimostrava la nomina a Sostituto della Segreteria di Stato, incarico che ricoprì dal 1914 al 1921, e anche la grande amicizia che lo legava al Pontefice; fu di fatto il Papa a conferirgli personalmente l'ordinazione episcopale in una solenne cerimonia celebrata nella Cappella Sistina il 5 maggio 1921, dopo averlo nominato nunzio apostolico in Spagna. A Tedeschini fu assegnato il titolo di arcivescovo di Lepanto, che era stato prima di Achille Ratti (il futuro Pio xi), nominato arcivescovo di Milano.
"Posso pertanto assicurarla, Eccellenza, che in tutto ciò che ha pubblicato il "Corriere della Sera", non c'è nulla di fondato; non lo - disse Tedeschini a Lerroux - è il fatto che in questo periodo si doveva svolgere un concistoro, che è stato rimandato, che il Papa aveva intenzione di parlare del cambiamento verificatosi nella politica spagnola, che il padre generale dei gesuiti ha dato istruzioni alle case che hanno in Spagna, e infine che io ho ricevuto ordini dall'eminentissimo cardinale segretario di Stato di rimanere al mio posto, quando il solo ordine che finora ho ricevuto da lui è stato di dare a lei, signor primo ministro, la nota che il 24 aprile ho avuto la soddisfazione e l'onore di mettere nelle sue mani, con le notizie confidenziali che in quella circostanza le ho trasmesso".
In quella nota, il nunzio comunicava al primo ministro che la Santa Sede era "a conoscenza della proclamazione della Repubblica spagnola e della costituzione del governo provvisorio, essendo pronta ad assecondarlo nell'opera di conservazione dell'ordine e nutrendo la speranza che il nuovo regime spagnolo rispetterà i diritti della Chiesa e dei cattolici". Il ministro rispose il giorno dopo comunicando al nunzio il desiderio del governo provvisorio "di continuare a mantenere con la Santa Sede le relazioni di tradizionale affetto esistenti fra entrambe le autorità, sperando di trovare a tale fine nei sentimenti d'insigne comprensione della Sede Apostolica l'appoggio necessario".
Tedeschini approfittò della sua lettera del 1º maggio per ringraziare Lerroux per la fiducia che aveva dimostrato nel chiedergli chiarimenti sulle notizie pubblicate dal "Corriere della Sera" e, allo stesso tempo, gli espresse il suo desiderio che "tutte le alte personalità facessero lo stesso per affrancare la Santa Sede dalla diffusione di ogni genere di dicerie, le quali in nessun ambito sono tanto facili da inventare e da ricevere come in quello che riguarda la Chiesa e le sue istituzioni".
Da parte sua il ministro ringraziò "per il modo franco e categorico" con cui il nunzio aveva smentito le notizie riguardanti la politica vaticana riportate dal quotidiano milanese e aggiunse: "Immaginavo, e lo avevo già detto nella mia lettera precedente, che era tutto frutto dell'immaginazione del giornalista, sempre desideroso di conferire una nota di interesse al suo giornale. In ogni modo, sono lieto di vedere le mie supposizioni confermate da lei. Sia certo che approfitterò dell'offerta che mi ha fatto di ricorrere a lei per chiederle informazioni in situazioni simili, in quanto condivido il suo criterio secondo il quale in questi casi è sempre preferibile rivolgersi alla fonte autentica".
Tedeschini cercò di mantenere relazioni cordiali con i ministri repubblicani e, in particolare, con il primo ministro, responsabile della politica estera. Lerroux nel 1931 era il dirigente moderato del partito radicale, ma a inizio secolo era stato un anticlericale molto aggressivo e violento, come dimostrano sia i suoi comizi demagogici sia i suoi interventi in parlamento. Nel 1906 aveva detto ai suoi "giovani barbari" di Barcellona che bisognava distruggere la Chiesa. "Saccheggiate - gridava loro - la civiltà decadente e miserabile di questo sfortunato Paese; distruggete i tempi, eliminate i loro dei, alzate il velo delle novizie ed elevatele al rango di madri per virilizzare la specie. Non vi fermate davanti ai sepolcri e neppure davanti agli altari. Non c'è nulla di sacro sulla terra. Il popolo è schiavo della Chiesa. Bisogna distruggere la Chiesa!".
Appena proclamata la Repubblica, il nunzio dovette incontrare Lerroux a nome del corpo diplomatico. Lo conosceva già, e per questo l'incontro all'apparenza fu cordialissimo e rasserenante, poiché il ministro disse a Tedeschini queste testuali parole: "Stia pure sicuro che nulla, assolutamente nulla si farà riguardo alla Chiesa, senza prima consultarlo, con ogni lealtà e sincerità, con lei".
Ma quelle promesse non furono mantenute in quanto iniziò subito da parte della Repubblica un attacco frontale alla Chiesa con un'intensa legislazione faziosa, programmata unilateralmente, come vedremo nei prossimi articoli.
(©L'Osservatore Romano - 2-3 agosto 2010)
Nel 1931 Pacelli invitò i vescovi spagnoli a riconoscere la Repubblica
Nel 1931 Pacelli invitò i vescovi spagnoli a riconoscere la Repubblica
Fiducia tradita
di Vicente Cárcel Ortí
La prima decisione che la Santa Sede prese dopo il riconoscimento diplomatico della Seconda Repubblica spagnola (23 aprile 1931) fu di chiedere ai vescovi di raccomandare ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli rispetto e obbedienza verso i poteri costituiti per il mantenimento dell'ordine e per il bene comune.
Prima che tale decisione fosse comunicata ai prelati per la via ordinaria della Nunziatura Apostolica, il vescovo di Barcellona, Manuel Irurita, l'anticipò pubblicando il 16 aprile una circolare in castigliano e in catalano, dove dava disposizioni al clero della sua diocesi affinché si tenesse lontano dalle dispute politiche, senza negare il rispetto per le autorità civili, fra le quali una, che si dichiarava cattolica, gli aveva reso visita per tranquillizzarlo, dicendogli che il nuovo "Stato catalano", anche se aveva un carattere laico, avrebbe rispettato la religione.
Il vescovo credette opportuno ricambiare la visita. Sia il vescovo Irurita sia il cardinale Vidal, arcivescovo di Tarragona, si presentarono al presidente del Governo catalano, Maciá, per congratularsi con lui e assicurarlo della loro collaborazione e di quella del clero.
Nella sua prima comunicazione al cardinale Pacelli, Vidal disse: "La mia intenzione è di mettermi in contatto, se la Santa Sede lo ritiene opportuno, con il signor Maciá, organizzando un incontro riservato, e se ciò non fosse possibile, facendogli visita nel Palacio de la Diputación, per vedere se riesco a evitare misure di carattere radicale e contrarie agli interessi della religione. È preferibile prevenire che protestare, o porre rimedio a un danno fatto. Opererò con la massima prudenza dopo essermi affidato al Signore (...) Non mi dilungo ulteriormente, poiché suppongo che lei attraverso la stampa sia al corrente di quanto sta accadendo qui. Che Dio ci tenga per mano! Conviene non perdere la serenità, e neppure la prudenza e l'energia".
Il cardinale primate Pedro Segura tuttavia censurò l'intervento del prelato barcellonese, poiché lo considerava precipitoso; per questo Irurita il 21 aprile scrisse al nunzio Federico Tedeschini dicendogli: "Alle amarezze e alle angosce che sto provando in questi giorni, il Signore ha voluto aggiungerne un'altra, molto più dolorosa, quando l'eminentissimo signor Cardinale Arcivescovo di Toledo mi ha comunicato che la mia lettera circolare al clero della diocesi non ha fatto una buona impressione e che avrei dovuto prima consultare Sua Eminenza. Non voglio giustificarmi; se ho peccato sono pronto a fare la penitenza e a ritrattare, se mi si ordina di farlo. Ma erano così crudeli le circostanze dei primi giorni, il panico, il disorientamento, i pericoli (non è possibile né prudente descriverli per lettera), che mi sono visto nel caso urgentissimo di dettare le disposizioni già pubblicate, con le consulenze e i consigli che qui mi sono stati offerti". Il nunzio approvò il modo di agire del prelato barcellonese.
Il vescovo di Tortosa, Félix Bilbao, non temeva estremismi e violenze nella sua diocesi, perché "qui i fatti si sono svolti senza attriti né disturbi, e i consiglieri repubblicani che hanno vinto a grande maggioranza sono persone serie e dalla buona posizione". Il vescovo visitò nella sua residenza il nuovo ministro dell'istruzione pubblica, Marcelino Domingo, "per stabilire un primo contatto con le nuove autorità, per la particolarissima posizione del signor Domingo in questa città, dove non si può negare che è l'idolo di migliaia di sostenitori che si sentono tanto uniti a lui".
Nel commentare questa visita, Bilbao disse al Nunzio che il ministro lo aveva ricevuto "molto cordialmente e al mio saluto e all'auspicio che gli ho formulato che il Signore lo aiutasse e illuminasse, per il bene della Patria, ha risposto che così sperava, con la collaborazione di tutti, aggiungendo che il Governo non doveva affrontare in quel momento i seri problemi in sospeso più di quanto fosse necessario, lasciando il resto alle Cortes, e sempre con il massimo rispetto per i sentimenti intimi e le credenze di ognuno. Si è mostrato grato per la visita".
Molte sono le testimonianze che si potrebbero citare per documentare l'unanime atteggiamento favorevole dell'episcopato dinanzi al nuovo regime, ma ci limiteremo a quelle più significative provenienti da vescovi di diverse regioni che risposero immediatamente all'invito della Santa Sede e del cui operato informarono debitamente la stampa sia locale sia nazionale.
"El Debate", il 19 aprile, pubblicò la circolare che l'arcivescovo di Valencia, Prudencio Melo, aveva indirizzato al clero e ai fedeli della sua arcidiocesi sul rispetto dovuto alle nuove autorità dello Stato. L'"Abc" del 21 aprile diede questa notizia: "Il vescovo della diocesi di Vitoria ha visitato il governatore civile per manifestargli il rispetto per il Governo della Repubblica. L'incontro fra le due autorità è stato estremamente cortese. Il governatore ha promesso al prelato di trasmettere al Governo i voti che gli ha espresso". Lo stesso giornale il giorno dopo annunciò che l'arcivescovo di Valladolid, Remigio Gandásegui, "nella totale certezza che il Clero, nelle presenti circostanze di cambiamento di regime, aderisce alla dottrina della Chiesa riguardo ai Poteri costituiti e che nell'intervento politico e per quel che riguarda il ministero della predicazione rispetta le norme dei sacri canoni, si limita a disporre che in tutte le parrocchie si celebrino culti e rogazioni, pregando per le necessità della Patria e impetrando la pace e la prosperità della nostra amata Spagna".
Il vescovo di Osma, Miguel de los Santos Díaz Gómara, tolse dal suo palazzo episcopale la bandiera monarchica e la sostituì con quella repubblicana, "per evitare alterchi, al fine di togliere ai nuovi colori della bandiera qualsiasi apparenza di contrasto con la mia rappresentanza nella località di Burgos de Osma".
Il cardinale Ilundáin, arcivescovo di Siviglia, comunicò al capitolo metropolitano che "il nostro atteggiamento doveva essere di rispettare i nuovi poteri costituiti e di prestare all'interno della nostra sfera la cooperazione a tutto ciò che conduce al mantenimento dell'ordine e alle cose che portano al benessere politico volute e promosse dagli attuali governanti".
Il vescovo di Zamora, Manuel Arce, impartì istruzioni simili ai suoi sacerdoti e informò il nunzio dicendogli: "Grazie a Dio in questa diocesi tutto è avvenuto fino al momento presente in modo corrente e normale, senza alcuna perturbazione dell'ordine pubblico e senza recare danni a persone o cose". Anche questo vescovo visitò il nuovo governatore civile della provincia "compiendo il dovere che le circostanze impongono".
Il vescovo di Almería, Bernardo Martínez Noval, comunicò a Tedeschini che nella sua diocesi si osservavano "le istruzioni date dalla Santa Sede", con religiosa fedeltà. "Quello di cui si ha bisogno è che il nuovo regime aiuti in tutto la Chiesa nello stesso modo disinteressato con cui essa lo aiuta. Da parte mia e da parte del clero si fa tutto ciò che si può e si deve fare e non riceveranno alcuna lamentela per quel che ci concerne".
Tuttavia a queste generose manifestazioni dei vescovi, che smentiscono le tesi difese da alcuni storici, secondo i quali la gerarchia ecclesiastica avrebbe manifestato ostilità alla Repubblica fin dalla sua proclamazione, le nuove autorità repubblicane non seppero o non vollero rispondere con la stessa generosità, come documentano numerosi incidenti che provocarono la censura dei metropoliti, che non nascosero la loro preoccupazione per la piega che gli eventi stavano prendendo.
Per questo, nella dichiarazione pastorale collettiva del 9 maggio, quando ancora non era trascorso un mese dall'instaurazione del nuovo regime, ratificarono pienamente le manifestazioni dei vescovi "nella fiducia che le autorità rispetteranno i diritti della Chiesa e dei cattolici, in una Nazione in cui la quasi totalità della popolazione professa la religione cattolica". Ma, allo stesso tempo, dissero apertamente che "i prelati spagnoli, nel loro desiderio sincero di non creare difficoltà al Governo ad interim hanno finora taciuto, con la speranza che da esso sarebbero stati pienamente rispettati i diritti di cui, per tanti titoli, godeva la Chiesa in Spagna. Il silenzio non può però essere interpretato facilmente come acquiescenza a misure isolate di diversi ministeri, che hanno prodotto una sgradevole impressione nei cattolici poiché hanno leso alcuni loro preziosissimi diritti, sui quali i prelati hanno il dovere di vegliare, in quanto appartengono al patrimonio della fede e dei costumi cristiani del popolo spagnolo".
(©L'Osservatore Romano - 24 luglio 2010)